NO AL SERT CAPOLINEA

Solo poche settimane prima, la mamma del ventenne trovato cadavere in un bagno pubblico del centro di Foligno, aveva lanciato un disperato appello. Aveva denunciato l’incomunicabilità che, sorprendentemente, troppo spesso sembra crearsi tra famiglie con figli tossicodipendenti, o con altre forme di dipendenza, e istituzioni pubbliche deputate all’assistenza. Quella mamma aveva più volte chiesto, anche al Sert, il servizio di assistenza alle tossicodipendenze, di conoscere esattamente, le condizioni del figlio, se fosse realmente tossicodipendente. Ma ufficialmente nessuno ha potuto dirle nulla: il ragazzo è maggiorenne, c’è la legge sulla privacy. Ora quel ragazzo è morto. E bisogna chiedersi se la "catena" ha funzionato bene, se non si sia spezzato qualche anello.

Stroncato da un’overdose a 21 anni. Questa volta è accaduto a Foligno nei bagni pubblici a due passi da piazza della Repubblica. Il giovane è stato trovato riverso in terra, con la testa che usciva all’esterno del bagno. La porta, azionata da una fotocellula, era semichiusa, a contatto col collo del ragazzo. In relazione a questa tragedia, intanto, la polizia ha arrestato un extracomunitario clandestino. L’ipotesi di reato, secondo quanto si è appreso, è spaccio di sostanze stupefacenti ed omicidio. Da una prima analisi effettuata direttamente sul luogo del ritrovamento, sono emersi una serie di elementi utili a sostenere l’ipotesi dell’overdose, anche perchè è stato ritrovato quello che la polizia ha indicato come "materiale collegabile all’assunzione di stupefacenti", che è stato successivamente posto sotto sequestro. Stando alla prima ricostruzione dei fatti, il giovane sarebbe stato colto da malore, avrebbe tentato di uscire all’esterno del bagno, sarebbe quindi rovinato in terra finendo con il corpo al di sotto del livello della fotocellula che comanda la chiusura, appunto, della porta. L’accesso al bagno s’è quindi rinchiuso, non trovando ostacoli che potessero bloccare la fotocellula. Ed è in quella posizione che è stato trovato, nei bagni di via Pertichetti. Il magistrato competente sul caso ha disposto l’autopsia e la salma del giovane è stata trasferita all’Istituto di medicina legale di Perugia, per chiarire le esatte cause del decesso. Stupore, meraviglia, indignazione, rassegnazione.Dopo trent’anni che lo stato ha cominciato ad occuparsi di droga, la Comunità Incontro lo faceva già da dieci, questi sono i soli sentimenti che il nostro Paese riesce ad esprimere di fronte alla permanente morìa di giovani vite, come il caso più recente di Foligno, per quanto riguarda l’Umbria. Ma, politici, amministratori, governanti, dirigenti, direttori e operatori dei servizi pubblici continuano a tacere, o a fare confusione, su cosa è droga e su cosa essa produce sulla persona e nella società. Solo cronaca, spesso fuorviante, sui danni, sulle morti, su proposte assurde e peregrine: ammiccamenti e sperimentazioni, pseudoscientifiche e speudo-buonistiche, talvolta criminose, come l’ultima, quella torinese, delle "narcosalas" dove potersi "drogare assistiti dallo stato". Sembra quasi che si muoia di droga per colpa dello spacciatore disonesto o poco professionale, che va immediatamente individuato e perseguito, per lasciar lavorare quelli onesti, meglio se con patentino di Stato! Per il resto solo silenzio che snerva, ed esaspera. Nessuno che dica chiaramente che la droga è solo e comunque morte:che, dalla droga si può uscire, ma ci vuole impegno, fatica e responsabilizzazione. Com’è possibile che si continui a fare la conta di quanti utenti vanno ai Sert (quasi fosse questo il risultato auspicabile!) e che poi li si dimentichi lì per anni e anni a fare la fila tra metadone, ospedale, lavori socialmente utili, naltrexone, ecc., fino al grosso reato o al buco fatale, senza un reale e significativo recupero di queste persone? E’ vero che non è facile, e che anche le comunità hanno i loro insuccessi. Ma molti ne escono a testa alta, e proprio a Foligno, dove si è verificato il caso più recente di morte per droga, la Comunità Incontro conta un numero significativo di ragazzi recuperati e che ora costituiscono un punto di riferimento (snobbato, purtroppo, dal servizio pubblico) con un loro gruppo d’appoggio. Perchè una persona tossicodipendente deve andare necessariamente ad un Sert in cui non si crede ad un suo recupero possibile, anche se difficile, e non si parte subito in questa direzione indicandogli le vie maestre, dure ma efficaci, prima tra tutte la comunità? Non può essere autoreferenziale e proporre solo se stesso, o chi gli regge il gioco del mantenimento, dell’assistenzialismo, del "servizio sportello", del metadone o della sostanza (agonista o antagonista che sia ma non "farmaco", perchè non può esistere un medicamento che cura un problema profondamente esistenziale) magari unito ad occasionali forme riduttive di partecipazione (come i lavori socialmente utili, la riduzione del danno, le corsie protette, ecc) che sfiancano la persona, sfiniscono le famiglie, inducono all’accettazione della tossicomania come ad "uno stato di fatto e quasi di diritto", che produce rassegnazione e anticipa morte.Ora, la Comunità Incontro, invitata, parteciperà al prossimo (ennesimo!) convegno indetto dai Sert del ternano; ma, con lealtà e forza, dovrà ricordare a questi signori che dalla droga si può e si deve uscire, e che i Sert non sono stati istituiti per dare ai tossicodipendenti il metadone perchè questi possano timbrare in qualche modo il cartellino o andare a fare i lavori socialmente utili, in attesa di un destino favorevole o avverso. Gente ridotta a vivere come cittadini di serie B! Siamo addirittura al paradosso che una persona non risulta tossica e non può. Quindi, chiedere aiuto se non è prima passata da loro. Allora può anche morire di overdose:"Noi non lo conosciamo;non l’avevamo in carico!" Non intendo con questo demonizzare il Sert, ma solo dire fermamente che per uscire dalla droga non si deve necessariamente passare solo attraverso di esso il quale, a sua volta, ha invece il dovere morale e tecnico di dire ai ragazzi che infilandosi nel tunnel del metadone, o cose simili, non ne usciranno. Vorrei cioè che il Sert fosse quello che deve essere: un centro di orientamento e non una stazione finale nella vita di una persona. Ogni giorno arrivano da noi ragazzi che, ridotti a zombi, non ne possono più del metadone. Nessuno che al Sert abbia detto loro, in maniera chiara, convinta e convincente: "Tu dalla droga puoi uscire, e devi uscirne. Ti aiuteremo a cercare e ad affrontare la strada della libertà". E invece no; in un delirio di onnipotenza, li mettono in fila al loro sportello per offrire un surrogato istituzionalmente deprimente, alternativo all’offerta euforica dello sballo. Narcosalas e cose del genere servono solo a far parlare ed a ingannare, ma non saranno ami una risposta significativa; solo una minoranza di persone le frequenterà e senza risultati che vadano oltre l’orizzonte della loro ossessiva dipendenza. E le comunità non potranno mai accettare di trasformarsi, per supplire alla carenza di cliniche specializzate nel contenimento dorato dei ragazzi più avvantaggiati che, magari continuando a prendere metadone, vi vengono "ricoverati" dalle loro famiglie, o abilitate al trattamento terapeutico e farmacologico per quei soggetti caratteriali o psicopatologici che, dopo la riforma Basaglia, sono rimasti senza risposte. Le strade, le piazze, i luoghi di lavoro e di divertimento, sono pieni di giovani e di ragazzi "normali" che, soli in mezzo a tanta gente, svuotati di senso e di motivazioni, cercando nelle sostanze, fino allo sballo, evasione da una condizione insostenibile, finiscono in un binario morto. Hanno il diritto ad avere risposte, hanno il diritto ad essere aiutati a riprendere il cammino della vita. E noi non ci rassegneremo mai a dire loro che anche un binario morto è bello, che restare parcheggiati ha senso, che vivere e sopravvivere sono la stessa cosa...fino a che morte non sopravvenga e, finalmente, qualcuno si accorga di loro.


Dalla redazione del "Cammino"